Generazioni a confronto

Julia Ituma, fragili ed “eroi”

Julia Ituma, fragili ed “eroi”

Claudia-Cremonesi.png A cura di Claudia Cremonesi
Educatrice sanitaria e Naturopata


Un nome come tanti altri, insieme a quelli di tanti universitari che solo per non aver superato un esame hanno deciso di chiudere tutto, per sempre…

Preadolescenti, adolescenti e giovani, sono tutti puntualmente dotati di smartphone, iPad, PC fisso e portatile, play station, perché non sia mai detto che “i nostri figli” siano tagliati fuori dal resto del mondo, non sia mai detto che abbiano meno degli altri, non sia mai detto che non siano al passo con i tempi e fuori dal mondo: pur tuttavia, questi ragazzi devono essere al passo di chi? E fuori da quale mondo?

La verità incontrovertibile è che sono soli, completamente soli davanti ai loro schermi, ipnotizzati attraverso immagini, foto e suoni che li coinvolgono, li catturano catapultandoli in una realtà non reale, in un mondo fittizio.

Imparano, anzi assorbono, il concetto che per essere eroi bisogna agire, fare, sentire proprio così come il video gioco: cioè lasciarsi attraversare da emozioni forti, intense, dove il pericolo non esiste e dove sei un eroe perché riesci sempre, perché è bello: ti senti qualcuno, sei avvolto, riesci, tutti ti riconoscono e ti temono. In fondo è questo che chiediamo loro noi adulti, purtroppo. “Essere eroi”, vincere su tutto e su tutti, vivendo emozioni slegate dal contesto reale. E così vincono se sconfiggono tutti, se sono i primi, gli assoluti; vince chi elimina, chi riduce la diversità e la cancella, vince chi resta: seppure solo e indiscusso. Ognuno dei nostri ragazzi è solo davanti a tutto questo, e nessun gioco potrà mai colmare una sconfitta nella vita reale, dove non c’è tempo in fondo per piangere o per sbagliare. Il diverso deve essere abbattuto, l’eroe deve primeggiare pena essere uno qualunque: che bella sfida che si trovano a dover reggere i nostri ragazzi, e da soli! La loro età già di per sé porta ad estremizzare e assolutizzare le emozioni ad avere una personalità fragile perché in definizione, e davanti al vuoto che prima o poi arriva e incontrano non hanno risorse e cedono. Sono soli. Gli adulti, noi adulti non educhiamo più al dialogo e alla collaborazione, all’ ascolto, al racconto di storie di vita vere, significative, alle storie dei successi che arrivano dopo mille passi e cento fallimenti: sì perché anche i fallimenti e le sconfitte hanno tanto da insegnare e da trasformare, c’è tanto, tanti piccoli passi, tante piccole cadute prima di arrivare al “successo” e arriva chi riesce a dare significato ad ogni singolo passo. Il vero gioco è imparare a cadere e rialzarsi, cento mille volte, e cadere e rialzarsi di nuovo, perché è qui che nascono le intuizioni, le trasformazioni e le grandi idee.

Impariamo a guardarci intorno, riscopriamo che c’è una vita al di là dell’uso della tecnologia che c’è una natura in cui siamo immersi dove siamo ospiti e che ci chiede ogni giorno di essere scoperta, accolta e protetta.

Siamo tutti ospiti. La natura educa alla calma, all’ ascolto, educa la vista, l’olfatto, i sensi.

E ancora essa educa alla collaborazione, al lento scorrere del tempo, al rispetto dei tempi altrui, alla diversità, alla bellezza, all’armonia, alla pace.

Cionondimeno, educa anche alle tempeste, alle bufere ai cataclismi e ci insegna che il temporale passa, la tempesta ricrea un nuovo ordine, il cataclisma insegna a proteggerci meglio tutti quanti insieme e a collaborare per gli obiettivi comuni. La natura: lì dove l’uomo è solo ma ha accanto tutto il mondo, contiene il mondo e ne è la rappresentazione vivente. Nulla c’è dentro che non sia anche fuori. Ci si specchia nella natura e si scopre l’interezza.

La natura è meraviglia, stupore gioia, miracolo, è la vita che ricrea se stessa in continuazione, è cambiamento ma per un “essere” migliore. Tutto è trasformazione, è rinascita. Non c’ è notte senza alba, buio senza luce eppure solo nel buio brillano le stelle. La natura insegna la cosa più importante di tutte: il rispetto della vita. La vita non maltrattata.

Un Albero ne è l’immagine più rappresentativa: le radici, il tronco, le foglie, i frutti, gli uccelli, gli insetti.

È la vita che ospita, che collabora, che crea reti, reti di protezione che ti fanno sentire parte di un tutto, lì dove puoi permetterti di fermarti, piangere, cadere perché c è una “rete di vita” che ti salva, che ti accoglie che è lì accanto a te, pronta a svelarti i suoi misteri.

La rete delle relazioni è il significato della vita e la natura ce lo insegna. Davanti al baratro o lì dove c’ è un vuoto ciò che ti salva e ti restituisce a te stesso sono le relazioni, la vera rete di protezione: la natura. Allora proviamo a “perderci” nella natura e facciamo questo viaggio ogni volta che possiamo perché ritroveremo noi stessi e il senso della vita. Educhiamo ed educhiamoci alla natura. Al rispetto vero di noi stessi e del mondo che ci è stato donato. Se vogliamo migliorare e salvare l’umanità dovremmo tutti proporci come gli Eroi della natura: questo è il vero “video-gioco” che dobbiamo imparare a giocare, ascoltando i tempi, l’avvicendarsi delle stagioni, o tempi dell’attesa dopo aver seminato, il lungo inverno dove tutto sembra fermo e “finito” , per poi scoprire con stupore la nostra primavera: abbiamo bisogno di contadini della vita che ci raccontino la loro semina e il loro raccolto. E allora, a tutti noi, buona partita! E la vittoria più bella sarà non giocare da soli ma giocare insieme a chi ci è accanto perché nella natura vince chi collabora, chi cura, chi protegge e allora forse nessuno sarà più solo, ecco, perché la verità è che non ci si salva mai da soli: insieme sì! Ecco questo è il traguardo e la vera vittoria!

Ritengo sia utile, per concludere, rammentare a tutti noi, in particolare alle nuove generazioni quanto ha scritto Pier Paolo Pasolini sul “Valore della Sconfitta”:

Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo.

In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare…. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. È un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.

Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…”. (Pier Paolo Pasolini)

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